open space pareti divisorie
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Open space o Pareti divisorie?

Dall’ufficio tradizionale all’open space.

La struttura gerarchica rigida e competitiva dell’organizzazione del lavoro di qualche decennio fa trovava una perfetta corrispondenza nella rigidità dell’ufficio tradizionale. Lunghi corridoi, uffici individuali e porte chiuse.  La variabilità, la dinamicità, l’ottimizzazione degli spazi, lo stimolo all’interazione ha prodotto una indiscriminata ” apertura” degli uffici.

La diffusa certezza che l’interazione aumenti la produttività, oggi è messa in discussione. Infatti, molti lavoratori in open space si sentono frustrati dalle distrazioni che riducono le loro prestazioni lavorative. In particolare lamentano la mancanza di privacy visiva e di privacy acustica.

Sembra inoltre che ” facilitare l’interazione” non significhi necessariamente prevedere l’ufficio “open space”,  il layout degli uffici è ininfluente se davvero si vuole comunicare con i colleghi.

La perdita di produttività a causa di distrazione per il rumore è raddoppiata negli uffici open space rispetto ai layout misti di tendenza attuale.

Riconsiderare  l’ufficio open space sarà il dibattito dei prossimi mesi, molto probabilmente la variabilità dei modelli organizzativi aziendali ci rivelerà che non è possibile un’unica tipologia di layout ma un mix di schemi distributivi.

L’ottimizzazione dello spazio non deve significare sottrarre piacevolezza e comfort all’ambiente, perchè andrebbe a svantaggio della soddisfazione del personale e quindi anche della produttività.

Privacy visiva.

La privacy visiva è associata in parte all’escludersi dalla vista altrui, in parte all’escludere dal proprio campo visivo la vista di persone o di oggetti in movimento. Negli uffici a stanze, quando la mansione che si ricopre richiede una forte concentrazione mentale, oppure un discreto livello di discrezionalità e segretezza, l’adozione di pareti divisorie cieche è l’unica soluzione possibile ai fini della privacy visiva.

Negli spazi aperti, invece, sia i divisori trasparenti sia quelli ciechi, forniscono un minimo di separazione. Marcano visivamente un confine tra uno spazio e l’ambiente che lo ospita, realizzando un livello intermedio di privacy.

La scelta relativa all’opacità e alla scelta del pannello è legata a esigenze di controllo, di illuminazione e di eventuali percezioni fobiche.

Un piccolo schermo alto al massimo 100/110 cm servirà solo a dare l’idea di un confine fisico e a evitare l’intrusione di oggetti e documenti che possono debordare da una scrivania all’altra nel caso di aggregazioni compatte.

Il livello di privacy visiva realizzabile con pannelli alti 150 cm è tale da nascondere quello che avviene nei posti adiacenti restando in posizione seduta. Servono invece almeno 175 cm per non essere osservati da chi è in piedi.

Privacy acustica.

La privacy acustica è associata sia alla certezza che i discorsi privati non siano ascoltati, sia all’assenza di rumori di sottofondo.

L’intensità delle sensazioni sonore percepite dipende in parte dalla distanza della sorgente, in parte dall’intensità del suono.

Il livello sonoro del rumore di fondo può variare dai 20 dB di una stanza molto silenziosa fino ai 60/70 dB di un ufficio che risulta decisamente fastidioso e stressante.

Il campo sonoro delle conversazioni di lavoro va dai 40/45 dB della comunicazione confidenziale ai 90 dB della comunicazione urlata.

Il livello-soglia del rumore ritenuto fisiologicamente accettabile sotto il profilo ergonomico si situa intorno ai 48/52 dB. Il livello psicologicamente piacevole che trasmette un senso di tranquillità è 35 dB. Sopra questo livello la percezione individuale sarà quella di mancanza di privacy.

Le soluzioni per un ufficio funzionale e bello non mancano,  le scelte dovranno essere fatte in base alla cultura aziendale con il supporto di professionisti competenti che sappiano consigliare ed individuare i prodotti giusti per un progetto personalizzato, condiviso e di qualità.

 

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